Chi è Wagner III? Uomo paranoico e allucinato preso in ostaggio dal demone dell’arte, alla ricerca spasmodica del suo personaggio e del suo posto nel mondo.
Può essere considerato come uno squisito e curioso manifesto contro la stereotipizzazione dell’uomo e dell’uomo artista, contro quella “cultura di massa” che lo ha reso un animale sociale nel senso più negativo: annichilito, anonimo, uniformato. Ma il paradosso è insito nel racconto stesso: se da un lato il protagonista è, o vuole apparire, un oppositore della mercificazione dell’essere umano, dall’altro ne è vittima inconsapevole.
Chi è, allora, Wagner III? Oltre ad essere il protagonista del libro “Suite per quarti di vacca” di Nino Vetri, pubblicato da il Palindromo, è uno pseudo artista allucinato e paranoico. Vive nella Città in cui il male crudele, la mafia, si muove nel sottosuolo, silenziosa ma presente. Insofferente nei confronti della vita animata che lo circonda, Wagner III è mosso da un’irrequietezza allucinata. La si percepisce in tutto il libro, scandito da flashback, rimandi a episodi e vicende che hanno segnato la sua carriera da artista incompreso.
Grande oppositore della cultura di massa, in realtà ne viene risucchiato. Per due motivi: per quanto ci si possa opporre al rispetto di alcune regole socialmente condivise, una certa struttura mentale rimane avvinghiata alla coscienza. Per cui l’ostentazione del suo genio incompreso sembra tradursi in una profonda sofferenza del suo non esser socialmente riconosciuto come artista. Il secondo motivo riguarda il fatto che seppur contrario a quel lasciarsi corrompere dell’età adulta e dalle sue regole, la sua morte sarà trasformata in un grande, noioso, stereotipo: da morto, e solo allora, ad un artista viene restituita quella luce, quel bagliore tanto fantasticato in vita.
C’è una voce narrante nel libro di Nino Vetri che tesse le fila del racconto, come in un piccolo reportage sulla vita di un uomo che «alimenta il mito del grande artista osteggiato e censurato». Il personaggio di Wagner è esempio plateale, eccentrico e strampalato, dell’artista in cerca del suo momento di gloria, della sua opera perfetta.
Chi narra nel libro, qualcuno che ha conosciuto in vita Wagner III, ne conosce la follia, la sua arroganza come anche la sua ambizione, lo vede rincorrere sogni e sbattere contro la sua stessa inadeguatezza in un mondo che vive di regole non scritte.
«Comunque tu faccia ricordati: il lettore vuole possedere, vuole consumare una storia… ricordati! Siamo in un’epoca di capitalismo avanzato! Consumare! Possedere!», gli risponde un critico dopo aver letto il suo romanzo. Ma Wagner è predicatore del perfetto nulla e dell’assenza del superfluo, del lasciarsi guidare da quella verginità del pensiero che non è inquinato dalla cosiddetta maturità.
Così, quando pensa ad aprire la sua scuola di teatro spiega che i suoi studenti «Impareranno a non fare niente. E non essere niente. A non fingere niente. Niente immedesimazione. Niente recitazione. Niente dizione. Niente di niente. Non impareranno un bel nulla. Forgerò delle perfette nullità. Non sarò certo io a rovinarli».
“Suite per quarti di vacca” avrebbe dovuto essere il suo capolavoro, la sua firma, il suo teatro del nonsense: tra ordine e caos, senso compiuto e non. Ma «il mondo non è pane e cacio», bisogna decifrare i segni, interpretare ogni cosa. Quel segnale non arrivò mai, non nel mondo in cui fino a quel momento aveva vissuto. Come ha scritto Umberto Eco la verità appartiene solo ai folli e ai bambini e Wagner lo aveva compreso. Ci fu un momento di gloria e successo, prima di sprofondare in un “commovente” paradosso.
In copertina: Andrea Celestino, Non posso spiegarti, 1999.