Quel senso di straniamento che si vive davanti la propria immagine riflessa nello specchio – chiedersi “Chi sei?” e non sapersi dare risposta -, non è nulla forse in confronto alla scomparsa di quella proiezione di sé. È “Lo specchio vuoto“, di Samir Toumi.
«La prima cancellazione si è verificata il giorno del mio quarantaquattresimo compleanno. Quella mattina mi ero svegliato più presto del solito, molto prima che suonasse la sveglia. Era una giornata autunnale, piovosa, dal cielo livido. Mi sono alzato dal letto a fatica per trascinarmi verso il bagno con la testa pesante e la mente confusa. Arrivato davanti allo specchio, non ho visto il mio riflesso.»
Si intuisce subito, dall’incipit del libro “Lo specchio vuoto” pubblicato da Mesogea , il desiderio del’autore Samir Toumi di catapultare in una dimensione molto più che intima: si abbatte ogni muro, ogni barriera di formalità, per intrufolarsi nella psiche del protagonista che prende atto, nel momento stesso in cui si inizia la lettura, della scomparsa della sua immagine, del suo riflesso allo specchio.
Sindrome da cancellazione, comunica al protagonista il Dottor B., figura imprescindibile e presenza costante del romanzo che inaugura di fatto l’avvio di una tensione e una ricerca psicologica che accompagna fino all’ultima pagina.
Un “normale” impiegato – cos’è normale? – alla Società nazionale gas e petroli algerini «dotato di un indubbio talento nel passare inosservato e di una totale mancanza di ambizione», affetto da una patologia rarissima di cui non esiste alcun tipo di studi in campo psichiatrico. A scandire i tempi del romanzo, quindi, queste sparizioni sempre più frequenti e le sedute con il Dottor B. che diventano man mano più dense, spesso più per il lettore che per il paziente, che sembrerebbe inizialmente colto da una volontà di abbandono verso se stesso che via via va estinguendosi: quasi scoprisse l’esistenza di un sé proprio grazie alla sparizione del suo riflesso.
Lo specchio e quella invisibilità improvvisa diventano subito, e chiaramente, emblema e sintomo di un demone oscuro che domina la (non)vita del protagonista che durante le sedute accoglie le domande del dottore non spiegandosi però quale nesso possa esistere con la sua sindrome. Fatto sta che viene fuori un elemento che il Dottor B. e il lettore sapranno cogliere come “scatenante”: una figura imponente nella sua esistenza, quella del padre, il Comandante Hacène combattente del Fronte di Liberazione Nazionale e fondatore dell’Algeria indipendente. Chiave di lettura di quegli scompensi psichici, dei vuoti di memoria, del suo sdoppiamento, diventa centrale nel racconto questa presenza intensa e rumorosa di colpo svanita nella vita del protagonista.
La potenza di Samir Toumi nella scrittura del romanzo “Lo specchio vuoto” sta in quel lavorìo introspettivo che non trascura però la tessitura di una trama, con personaggi, incontri, episodi di vita reale che, più che essere un “rumore di fondo”, sono il terreno in cui quella ricerca si svolge, si dipana, fino al tentativo di venirne a capo.
E quel tentativo si traduce nella completa sparizione del riflesso, di una amputazione, un senso di perdita che però costituisce una graduale presa di coscienza. Quel trascinarsi del protagonista diventa una presa di possesso del corpo: «Prendevo coscienza del fatto che le mie braccia, le mie gambe, il mio bacino, il mio petto, il mio collo e la mia testa esistevano». Quel perdersi e poi riconoscersi, intrecciato con maestria da Toumi, è un percorso impervio, tormentato, dal finale insospettabile, insondabile come solo la mente umana sa essere.