Dopo l’SOS lanciato dagli editori indipendenti siciliani rivolto all’ARS, Mari Albanese scrive un appello agli scrittori e alle scrittrici siciliane per sostenere il mondo dell’editoria. In collaborazione con Ottavio Navarra, editore di Navarra Editore con cui la scrittrice ha pubblicato, il manifesto è stato condiviso con più di cinquanta case editrici indipendenti e il risultato è stato sorprendente. Il suo invito? Leggete siciliano, aiutate il mondo della cultura a continuare ad esserci!
Qual è l’obiettivo del manifesto? E a chi è rivolto?
«L’obiettivo del manifesto è quello di mettere assieme, in un’unica voce, le scrittrici e gli scrittori siciliani per sostenere le case editrici indipendenti della nostra isola. Un modo per ritrovarsi a riflettere sullo stato della cultura ai tempi del Covid19… è un tempo buio, in cui il distanziamento sociale di fatto penalizza tutte le nostre attività. Il manifesto si rivolge alla sensibilità di tutti i lettori, comprare un nostro libro è adesso più che mai, un atto d’amore verso la nostra terra e verso le imprese culturali che si trovano in serie difficoltà».
Perché è importante sostenere in special modo le case editrici indipendenti siciliane?
«Quando tutto questo sarà finito dovremo iniziare daccapo. Ricostruire le nostre iniziative, le presentazioni, i Festival. Dietro ogni casa editrice ci sono decine di donne e uomini che lavorano in maniera instancabile e che oggi rischiano di perdere il loro lavoro. La cultura deve essere considerata al pari di altre attività economiche ed imprese. Le case editrici indipendenti poi hanno un ruolo fondamentale, costituiscono un avamposto di garanzia a difesa del pensiero. Oggi più che mai bisogna sostenerle, comprare libri di autrici e di autori siciliani significa credere nella bellezza della nostra terra».
A partire dal nuovo Dpcm che ha dato via libera alle librerie, se n’è discusso molto. Ritieni sia giusto definire il libro, nel contesto in cui viviamo oggi, un “bene di prima necessità”?
«Le librerie non avrebbero dovuto chiuderle affatto. Al pari dei beni di prima necessità, alla stessa stregua delle farmacie. Un libro è capace di curare l’anima, di farci compagnia, di alleggerire il nostro passo e la nostra quotidianità. È un mondo che fa stare bene e che ci aiuta, soprattutto in questo momento, in cui rifugiarsi e vivere altri mondi, altre storie è assolutamente terapeutico».
Nel manifesto scrivi: «Ci siamo abituati, repentinamente, ad un nuovo modo di vivere la socialità, il distanziamento dall’altro da noi che fino a ieri era, invece, disvelamento e bellezza, soprattutto per noi autrici e autori, innamorati dei volti che incrociamo, degli occhi carichi di storie, dei corpi che tracciano traiettorie del possibile e che portano in sé la certezza di narrazioni sempre nuove ed affascinanti». Può esistere scrittura senza l’incontro con l’altro? Come nasce una storia se non con l’esperienza diretta con cose, persone, sensibilità?
«Uno scrittore si innamora, sempre in un modo nuovo, di tutto ciò che osserva. Anche quando appare distratto, in aria o lontano dalle cose, in realtà è dentro alle cose, totalmente. La scrittura si nutre di incontri, di sguardi, di metafore della realtà. In questo periodo dobbiamo solo attendere e vivere immersi nella nostalgia, ma con lo slancio dell’attesa. Quell’attesa che è solo preludio all’arrivo della scrittura. Perché quando arriva lo fa da sola e di solito non bussa, irrompe. Attendere il disvelamento e coglierlo in tutta la sua bellezza».
Immagine dell’articolo dell’illustratore André Letria.