Il Palindromo di Francesco Armato e Nicola Leo. Cosa significa essere editore indipendente oggi?
«Significa lavorare sodo ogni giorno e progettare libri che abbiano una identità, che rappresentino lo spirito della casa editrice oltre che la voce di un autore. L’editore indipendente, oggi più che mai, ha la responsabilità di immettere sul mercato – totalmente devastato dalle logiche del consumo scriteriato e dalle mode – prodotti validi, seri, anche a costo di posizionarsi in senso contrario all’andamento dei grandi flussi commerciali. Un’editoria se vogliamo acronica, che può muoversi liberamente e senza condizionamenti, questa è la vera forza e la bellezza del lavoro indipendente».
Cosa significa essere editore indipendente a Palermo?
«Palermo è la città che abbiamo scelto per fare editoria, rientrando appositamente da Roma, che rimane però la nostra seconda casa, anche editorialmente. In realtà se da un lato è vero che logisticamente fare gli editori a e da Palermo è sicuramente complicato, dall’altro la nostra città e la sua letteratura è stata ed è uno stimolo incessante per la nostra attività. Abbiamo un rapporto intimo con Palermo in particolare e con la Sicilia in generale, che ci connota e ci permette di proiettarci sul nazionale con un’identità chiara e con alle spalle una base oggi davvero molto solida a livello locale.
La cosa di cui siamo più orgogliosi è l’aver saputo creare attorno alla casa editrice una comunità di intellettuali, scrittori e artisti che “fanno gruppo” con noi e con i quali c’è un confronto continuo e proficuo. Palermo permetteva, e forse, senza voler sembrare presuntuosi, aveva bisogno, di questo spazio di condivisione e confronto, anche dal punto di vista editoriale. Tra tutti, in particolare, ci teniamo a sottolineare che il nostro riferimento principale è, dalla primissima ora, Salvatore Ferlita che è anche uno dei direttori della collana che forse più ci identifica, “Le città di carta”, di cui ha scritto il primo fortunatissimo titolo “Palermo di carta”. Guida letteraria della città».
Da dove nasce l’idea del nome “il Palindromo”?
«È l’eredità della rivista illustrata “il Palindromo. Storie al rovescio e di frontiera” che abbiamo ideato e pubblicato dal 2011 al 2013 e che poi si è trasformata nel progetto “Libri collettivi” (tre volumi tra 2014 e 2015). I titoli delle rubriche che componevano la rivista erano tutti palindromi, alcuni di questi sono poi diventati i nomi delle collane di oggi, come “E la mafia sai fa male“, la collana di letteratura militante, “I tre sedili deserti“, dedicata ai classici del genere fantastico, o “E noi sull’illusione“, saggistica dell’immaginario.
Quei primi anni sono stati fondamentali perché hanno creato una comunità e delle relazioni che costituiscono ancora oggi le fondamenta della casa editrice: gli artisti che illustravano le pagine della rivista sono gli stessi che oggi realizzano le nostre copertine, molti dei collaboratori di allora lo sono ancora oggi e continuano anche rapporti istituzionali importanti come quelli con il Conservatorio di Palermo.
Ma il nome “il Palindromo” sin dalle origini oltre a un senso ludico – ci piace giocare con le parole – ne ha uno più profondo: una “prospettiva palindroma” è quella che ti permette di avere un punto di vista originale pur mantenendo inalterato l’oggetto di analisi, con una battuta potremmo dire che cerchiamo di procedere sempre in avanti ma al contrario, come nei casi dei ripescaggi editoriali che caratterizzano il nostro catalogo».
Scegliere un manoscritto: quali caratteristiche cercate in un autore?
«Cerchiamo innanzitutto serietà e non improvvisazione. Richiediamo al nostro interlocutore lo stesso rispetto che noi offriamo a chi ci propone opere. Chi scrive deve innanzitutto chiedersi il perché pubblicare quel libro, se abbia la qualità necessaria per essere sottoposto a un editore e se davvero possa rivolgersi a un pubblico potenziale di lettori. Molto spesso il rispetto manca, si pensa che scrivere un libro sia alla portata di tutti, noi non lo crediamo. Così come non pensiamo che saper tenere un pennello in mano equivalga ad essere pittori, o saper strimpellare quattro accordi alla chitarra significhi esser musicisti. A volte – ed è paradossale – a proporre libri è gente che legge poco o pochissimo. La scrittura intesa come azione culturale è il più elevato linguaggio artistico, non uno scherzo. Dunque serietà prima di tutto, qualità umane e pensiero critico, anche su se stessi, questo cerchiamo in un autore».
Qual è la stata la prima pubblicazione de il Palindromo? Perché la scelta è ricaduta su questo testo?
«”Almanacco siciliano delle morti presunte” di Roberto Alajmo. Un esordio duro, ma essenziale, come è la scrittura di Alajmo in questo libro. Noi crediamo che la letteratura non vada incasellata geograficamente in certi schemi, per questo ci proponiamo sul nazionale, dove a volte riceviamo più attenzioni e consensi che in Sicilia. Però rivendichiamo la nostra palermitanità, la nostra città è il grembo del Palindromo. Un grembo che ha prodotto cultura e paura, un po’ il set in cui siamo cresciuti. Ecco, il libro di Alajmo è il preambolo necessario, da cui tutto ha inizio».
Prossimo libro in uscita.
«”L’amore custodito” di Gianfranco Perriera, che presenteremo in prima assoluta il 17 novembre alla Feltrinelli di Palermo. Che un intellettuale del livello di Gianfranco abbia avuto fiducia in noi per la pubblicazione del suo romanzo d’esordio ci riempie davvero d’orgoglio. Subito dopo uscirà il secondo volume della collana “I tre sedili deserti” con un altro classico del genere – dopo “La collina dei sogni” di Arthur Machen –, ovvero “Il vascello di Ishtar” di Abraham Merritt, scrittore e giornalista statunitense vissuto nella prima metà del secolo scorso».