Angela Viola è illustratrice del mese di febbraio per Lo scaffale indipendente. Tra le collane della casa editrice il Palindromo, una è dedicata alla letteratura dell’antimafia, quella di chi ha conosciuto e ha saputo raccontare il male, tra saggi critici e scritti militanti. Si chiama E la mafia sai fa male e non vuole fare retorica: la scrittura qui è strumento di conoscenza. Tutte le copertine della collana fanno parte della serie MA(ta)SSE dell’artista palermitana Angela Viola. Fili rossi che si aggrovigliano intorno ad una forma, che obbligano a focalizzare l’attenzione lì e non altrove. La mafia fa male, esiste, e se ne deve parlare, scrivere. Ultimo libro della collana: “Il pastore di Brancaccio” di Nino Fasullo. In questa intervista si racconta e racconta l’anima dei suoi disegni, regalando una piccola raccolta delle illustrazioni diventate copertine dei libri.
Com’è nata la tua collaborazione con la casa editrice il Palindromo?
«La collaborazione con il Palindromo inizia nel 2011, per il numero 2 della rivista Palindroma “E qui si fa l’Italia?” All’interno furono pubblicate due illustrazioni: una per la rubrica Eco Vana Voce, con un’immagine sull’icona di Garibaldi nel cinema italiano; l’altra, un’opera della serie MA(ta)SSE, per la rubrica E la mafia sai fa male».
Parliamo del nome del progetto grafico: perché MA(ta)SSE?
«Le masse color sangue che avvolgono le protagoniste della serie di chine su carta, sono anche delle matasse: un groviglio di fili rossi che spesso si trasformano e mutano in masse organiche. Qualsiasi cosa le avvolga è al limite tra la densità di massa delle emozioni e il legame che stringe, delinea e definisce i contorni della protagonista, rigorosamente femminile: a volte, è proprio la massa a definire la figura sullo sfondo bianco. L’essere e il non essere spesso è direttamente proporzionale all’accumulo di ciò che portiamo dentro: ne siamo prigionieri o cerchiamo di liberarcene a tutti i costi».
Bianco, nero e rosso sono i toni scelti per i tuoi disegni: perché? Cosa vogliono evocare?
«La scelta non è evocativa: serve a non lasciarsi distrarre da nient’altro se non dalla forma stessa. Cosa quest’immagine rappresenti dipende dalla superficie o dalla forma sulla quale aderisce. Il bianco è lo spazio indefinito ma che sa anche definire; il nero ed il rosso richiamano l’attenzione sul soggetto, ti obbligano a focalizzare l’attenzione lì e non altrove».
C’è una copertina della collana a cui sei particolarmente affezionata?
«La prima, “Almanacco siciliano delle morti presunte“, è sicuramente quella che ho tenuto di più tra le mani, la più osservata e amata; tutte le copertine successive sono state scelte affinché quella forma aderisse al contenuto del libro».
La serie di disegni è nata come progetto slegato dalla collana de il Palindromo o ti sei ispirata ai libri?
«La serie delle MA(ta)SSE esisteva già: aver ispirato gli editori nella scelta di questa serie nella descrizione della collana è stato inaspettatamente un compimento della serie stessa».
Qual è il legame tra MA(ta)SSE e i libri della collana E la mafia sai fa male che nascono come letteratura militante dell’antimafia?
«Credo che un’immagine come quella delle MA(ta)SSE obblighi l’osservatore a focalizzare l’attenzione sul contenuto, riflesso nella forma delle masse rosse e nel titolo ma non altrove: è una richiesta di attenzione su un argomento che esiste, è concreto ed apparente allo stesso tempo, ma resta nell’ombra per ignoranza, o ancora peggio per scelta. Siamo noi infatti a scegliere se essere complici omertosi o avere il coraggio di fissare la sua immagine, a volte cruda e sanguinolenta».