Liberaci dai nostri mali

Claudio Fava, come si legge nella prefazione del libro, riconosce in Katya Maugeri una qualità ormai rara per un giornalista: sa guardare e ascoltare. Per scrivere il suo reportage, “Liberaci dai nostri mali“, l’autrice ha voluto varcare i muri delle carceri italiane e ha ascoltato le voci dei carcerati, le loro ossessioni, le loro domande. In anteprima, su Lo scaffale indipendente, l’incipit del libro/inchiesta che uscirà in libreria a fine marzo con Villaggio Maori Edizioni.


Prima ora d’aria

Ho varcato la soglia di un cancello di cui non conoscevo il rumore: lento, arrugginito, pesante.
Si trascinava quasi come se non volesse chiudersi, si ribellava al meccanismo che lo spostava con inerzia verso l’incastro.
L’ho osservato in modo ipnotico, come se cercassi risposte, come se ne volessi comprendere l’origine. Era un cancello semplicissimo, ma non riuscivo a distoglierne lo sguardo. Era blu, lo stesso colore di quel cielo privo di nuvole in quel pomeriggio che anticipava l’estate. L’aria tiepida e profumata di fiori di campo, quelli delle aiuole lì accanto.
La frenesia delle giornate, l’ho capito bene, tende a rimuovere quei piccoli dettagli – apparentemente inutili, futili – per accogliere tutte le altre informazioni che resteranno scolpite nella nostra memoria fino a sera: ansie, preoccupazioni, corse contro il tempo, ritardi causati dal traffico e tanti altri pensieri che sono figli di un sistema che tende ad allontanarci da odori, sapori, emozioni che riguardano le nostre percezioni. Riflessioni. Quelle che ti permettono di varcare la soglia di ogni limite, persino di quel cancello. Le riflessioni diventano chiavi per accedere a una realtà parallela della quale si teme persino d’approfondire l’argomento. Dovremmo imparare, semplicemente, ad ammirare anche ciò che appare futile. Come quel cancello, dicevo. Massiccio, imponente.
Confine tra due realtà.
E alla fine si è chiuso, davanti ai miei occhi. Non lo avevo mai osservato un cancello in modo minuzioso, si è sempre di fretta per soffermarsi ad ascoltare i suoni, figuriamoci quelli di un ammasso di ferro. Ma qui il tempo è sospeso, lento, arrugginito e ti costringe a pensare, nonostante la tua volontà e ti conduce laddove la realtà cambia forma, aspetto e persino i termini mutano assumendo altri significati. Una realtà parallela, quella carceraria, fatta di autorizzazioni, di ricerche, di domande, silenzi, pensieri, pregiudizi. Dove la libertà diventa utopia e gli uomini solo detenuti. Dietro delle sbarre.
Chi è un detenuto? Domanda semplice ed elementare. Un uomo che ha commesso un reato e sta pagando per l’errore commesso. Risposta altrettanto semplice ed elementare.
E cos’è il suo reato? Una colpa pietrificata, immutabile o un percorso destinato a un’evoluzione? Il carcere è il luogo di espiazione di una pena, in cui i detenuti sono privati della propria libertà per aver commesso dei reati, a volte, molto gravi.

Le quattro mura che accolgono il detenuto non possono diventare un luogo in cui rabbia, rassegnazione, sofferenza, smarrimento prendono il sopravvento, offuscando il lato umano di ognuno di loro; il carcere è anche un percorso che serve per comprendere l’errore commesso attraverso un tessuto di regole e norme comportamentali che, passo dopo passo, segnano una nuova strada – in salita, ardua – ma nuova. La riflessione e la consapevolezza dei reati commessi sono necessarie a riconoscerli come errori, senza però seppellire la speranza di poter imparare da tanta sofferenza.
Vite oscurate da ombre pesanti come macigni: tossicodipendenza, delinquenza, emarginazione, riscatto sociale. Storie che riecheggiano trascinandosi il fardello del dolore provocato. In queste ombre vivono uomini, persone con una propria identità e con delle storie. Da raccontare.

 

Liberaci dai nostri maliLiberaci dai nostri mali.
Inchiesta nelle carceri italiane: dal reato al cambiamento

di Katya Maugeri, progetto fotografico di Alessandro Gruttadauria

Un cancello arrugginito si apre. Una giornalista armata di taccuino e coraggio attraversa i corridoi di una casa di detenzione e si pone in una posizione di ascolto. Si siede, non giudica e assorbe, tra pentimento e dolore, le storie di sette detenuti che hanno attraversato un personale processo di redenzione. Katya Maugeri indaga le vite dietro le sbarre di chi, oltre agli errori commessi e l’etichetta del «carcerato», rimane comunque un essere umano. Non c’è assoluzione nelle riflessioni dell’autrice: nelle sue «ore d’aria» annota le sue emozioni di intervistatrice e riesce nel compito arduo di raccontare le difficili condizioni psichiche di chi ha commesso un reato, e di chi, fuori da una cella, ha lasciato rimpianti e sogni. Liberaci dai nostri mali non è solo un’inchiesta: è il racconto di una realtà di cui bisognerebbe avere coscienza, superando sbarre, muri e pregiudizi.