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Sono gli anni di piombo, anni di rabbia. Nell’Italia del 1977 bastava poco per morire. Bastava nascere nella pelle sbagliata, bastava che la propria natura si rivelasse ad un certo punto, con tutta la sua irreprimibile forza, per morire.

“Nella pelle sbagliata” (Edizioni Leima) è un romanzo sulla riconciliazione con se stessi e sull’impossibilità di farlo. La storia a volte è più potente. Due piani narrativi, due storie parallele: Fabio e Veronica sono gli antipodi, punti opposti delle loro esistenze irrisolte.

Fabio vive a Catania e affronta la scoperta della sua omosessualità in un contesto ostile come quello del ’77, perché essere gay «era considerato un marchio d’infamia, uno sgarbo alla natura». Non soltanto deve fare i conti con il fervore dell’adolescenza, ma con la scoperta di essere nato nel corpo sbagliato, di dover fronteggiare i pregiudizi del suo tempo, l’odio della sua gente. Il suo punto di “rottura” (e di rivelazione) è Samir, presenza fondamentale nella sua nuova vita, quando scopre di poter essere ciò che realmente è, nel profondo.

Veronica è una donna già adulta, ha ormai accettato da tempo il suo “status sociale”. Consapevole di quanto si sia lasciata alle spalle (la famiglia, i pregiudizi, la lotta contro se stessa), oggi è fiera di essere una prostituta del quartiere San Berillo di Catania. «Siamo quello che siamo, non possiamo cambiare». Nonostante la sua conquista interiore, il mondo non è pronto ad accettare un modo di vivere diverso da ciò che è socialmente condiviso.

Il romanzo, il primo per Francesco Faraci, sembra un duello tra due esistenze che si giocano il diritto alla sofferenza, nulla a che vedere però con il vittimismo. Il sentimento è diverso. È nello stile dell’autore avere un occhio particolare alle minoranze etniche: Francesco Faraci, nel suo lavoro di fotografo, cattura sguardi e attimi dalla strada, dalle periferie abbandonate della sua terra.

E anche nel libro la sua terra e il suo mare, il Mediterraneo, sono al centro di entrambe le storie. Di una terra così, come quella di Catania, non se può fare a meno. La si ama nonostante possa succedere di essere fagocitati dal pregiudizio, dalla limitatezza di chi non comprende che l’amore è altro.

Quanto può costare svelare la propria natura, essere omosessuale o una prostituta? La potenza del romanzo “Nella pelle sbagliata” sta in quel rincorrere affannato del senso della propria vita che si frantuma poi in un dovere verso una società malata che non ammette “sbavature”.

Riflettendo su questo, ad un certo punto la lettura si fa ancora più intensa. Un picco di tensione. Poi un altro. Succede qualcosa a Fabio, poi a Veronica. Quanto costa nascere nella pelle sbagliata? Quanto bisogna lottare per difendere il diritto di rivendicare la propria esistenza?

Alla fine il mosaico si completa, le emozioni si lasciano decifrare. Il gioco della scrittura si svela lungo le parole dell’ultima pagina.
«Ancora non mi riconosci?», gli domandò quella voce.
«Sono quello che eri».