Saggista e romanziere italiano, come critico, Salvatore Mugno, si è interessato di alcune importanti figure della letteratura tunisina. Trapanese di nascita e di vocazione, collabora con la casa editrice indipendente Màrgana con cui condivide un ideale: valorizzare risorse e personalità del territorio. Per questo motivo nasce “Il taccuino. Il segno veloce“, un corso di scrittura creativa che parte il 21 marzo, che intende spronare la città a uscire dal silenzio e da quell’appiattimento culturale che è solo una falsa “percezione”. In questa intervista, Salvatore Mugno racconta il suo punto di vista sulla scrittura che è frutto non di strumenti e regole, ma di emozioni, di motivazioni intime e personali che animano chi scrive.
Scrivere, essere scrittore, diventare un narratore: cosa vuol dire e quali strumenti servono?
«Dal mio personale punto di vista essere uno scrittore è uno status, un modo di vedere il mondo, una condizione di vita, direi, spesso molto dura e scomoda, che deriva e dipende più dal sentire di colui che si cimenta, si confronta e si compenetra nella scrittura (narrativa, saggistica o d’altra natura “creativa”) che dagli “strumenti” di cui egli possa disporre. Tuttavia, è intuitivo che gli “attrezzi” di questa attività sono tanti: da una buona biblioteca a un efficiente computer, da “maestri” e modelli fonte di fascinazione a occasioni concrete di pubblicazione e di editoria… Bisogna anche avere il buon senso e l’umiltà di conoscere gli autori del proprio contesto territoriale, più o meno ampio che sia. Io, da ragazzo, ho dedicato, tra l’altro, molti anni di studio, confluiti anche in varie pubblicazioni, agli autori del trapanese dell’Ottocento e del Novecento. Molti giovani pensano, commettendo un grave errore, di poter fare a meno del passato e degli autori che hanno fatto la “storia” prima di loro, anche nella loro città e regione. Uno scrittore, come lo immagino io, incarna un territorio, una comunità e, insieme, un universo intero. E non nasce e non si misura dall’oggi al domani, da un solo libro o da un’intervista più o meno brillante. Ci vogliono, solitamente, molti anni per potere avere contezza e certezza di essere o di avere di fronte uno scrittore. In questo percorso, certamente difficile, anche frequentare un “corso di scrittura” può essere molto utile, soprattutto in una fase di “formazione”, per così dire».
Da quale necessità e idea è nato il laboratorio “Il taccuino. Il segno veloce”? E cosa si intende per “segno veloce”?
«Il nostro laboratorio di scrittura nasce, soprattutto, dal desiderio di continuare a sollecitare, a spronare questo nostro territorio, la città di Trapani e i suoi dintorni, spesso caratterizzati da una “vocazione” al silenzio, al ripiegamento nel privato, nella sfiducia cosmica e improduttiva. Tanto che anni fa la giornalista e scrittrice Camilla Cederna scrisse che Trapani era l’unica città della Sicilia che non aveva scrittori. Naturalmente si sbagliava, ma la sua “percezione” era giusta. Nel senso che la scrittura, intesa come attività creativa, libera, artistica, fa ancora fatica ad attecchire dalle nostre parti. Negli ultimi anni, ad esempio, è emerso il filone dei “giornalisti-scrittori”, forse in linea con quanto accade nel resto del Paese, che nella scrittura vedono, soprattutto, un modo per acquisire visibilità e, quindi, farne un mestiere, per sostentarsi o per arrotondare lo stipendio. Ma non è a questo tipo di scrittura e di prodotti che abbiamo pensato progettando il nostro corso che, peraltro, non ha l’ambizione, che sarebbe oltre modo sciocca, di “plasmare” scrittori. Io amo dire che soltanto lo scrittore può attribuire e rilasciare, in fondo, sostanzialmente, tale titolo e questa patente a se medesimo.
L’idea centrale del nostro corso è di condurre i nostri allievi a confrontarsi, in maniera estemporanea, perciò immediata, rapida, con le emozioni e con le accensioni di storie suscitate nel contesto, inventivo, della “lezione”. Il taccuino, che la stessa casa editrice fornisce a ogni corsista, sarà allora a portata di mano, per raccogliere i frutti delle singole sensibilità».
Dopo l’esperienza dello scorso anno, il 14 marzo parte la seconda edizione del corso. Cosa è cambiato rispetto alla prima?
«Quest’anno abbiamo voluto coinvolgere anche alcuni docenti di livello e fama nazionale, quali sono lo scrittore, giornalista e drammaturgo Roberto Alajmo e la scrittrice e docente universitaria Daria Galateria. Da un altro canto abbiamo affidato, ove possibile, più lezioni ad alcuni docenti, per favorire una certa continuità didattica, piuttosto che proporre singoli incontri con ciascuno di loro. Abbiamo, inoltre, incrementato il numero di lezioni, che si svolgeranno in una sede nuova e eccezionale, il Museo Regionale Pepoli di Trapani, che diverrà anche uno scenario unico per le sollecitazioni culturali e artistiche che offre».
A volte, attraverso uno sguardo esterno e forse cinico, ci si chiede: a cosa potrebbe servire un corso di scrittura? La scrittura non è forse una dote innata?
«Certamente un corso di scrittura non potrà (e neppure più corsi) sfornare, per così dire, degli scrittori. Non è, peraltro, questo il nostro obiettivo, ma quello di far acquisire la consapevolezza delle proprie doti e potenzialità, nell’ambito letterario, in chi possiede un terreno fertile e ha voglia di metterlo a coltura. E quello di consentire ai partecipanti di cogliere le qualità o limiti di un testo letterario. L’incontro con i “maestri” e con gli altri corsisti serve a risvegliare, a convogliare, a guidare nel modo corretto le energie e la determinazione degli allievi. Per poter davvero esprimere la propria forza letteraria e, eventualmente, artistica occorre, soprattutto, imparare a non imboccare le strade sbagliate. Apprendere, ad esempio, che scrivere non è attività per compiacere o per compiacersi. Concetto forse facile da esporsi ma difficile da vivere. Apprendere anche che non si scrive per giocare a fare gli intellettuali. Apprendere che la letteratura non è il prodotto di un “mestiere come un altro”, che non implica soltanto una esecuzione tecnica, che senza cuore non c’è scrittura, ma semmai ci sono esercizi di retorica. Apprendere che uno scrittore non si valuta sulla base dei like che riesce a calamitare o a seconda della quantità di libri che commercia. Apprendere che uno scrittore può nascere soltanto dalle motivazioni che lo animano, dalla necessità che ha di “esporsi”. A questo e a tante altre cose può servire anche un corso di scrittura».
Una parte del corso è dedicata all’incipit e al finale di un libro. Quale incipit consiglieresti o hai consigliato ai tuoi allievi? E quale finale?
«Incipit e explicit dipendono, naturalmente, dal tipo di storia che si sta raccontando e dalle suggestioni che si vogliono produrre nel lettore. Non c’è una regola o una formula fissa.
In un testo breve, quale è il racconto, genere al centro dei nostri incontri, è comunque importante imprimere la giusta carica all’ouverture di una vicenda narrativa così come è necessario serrarne l’uscio conclusivo con un chiavistello che scateni il necessario turbamento.
Bisogna accompagnare il lettore, anche dentro un labirinto, e poi scegliere se e dove consentirgli una via d’uscita».
Tre libri che assolutamente consiglieresti a chi volesse studiare le diverse tecniche di scrittura e fosse alla ricerca del proprio stile narrativo.
«Non consiglierei specifici testi tecnici, pieni di regole, di suggerimenti, di minute indicazioni, ma semplicemente di leggere con attenzione i grandi autori, i racconti, nel nostro caso, ad esempio, di Pirandello, di Buzzati, di Brancati, di Sciascia, di Calvino, ma anche di autori russi, francesi o africani. E poi di soffermarsi a ricavare, da sé o con l’aiuto di una “guida” esperta, le trame e le tecniche, ma anche le motivazioni e il pensiero che reggono e danno vigore, senso e durata a una storia.
Nel nostro corso abbiamo suggerito, immodestamente, di utilizzare anche una mia recente silloge di racconti, “Parole in croce” (leggi recensione sul libro), uscita con l’editore di Màrgana Edizioni che promuove questo corso e dedicata proprio ai temi dello scrivere e della scrittura, un testo che, peraltro, è entrato nella “classifica di qualità” dei libri usciti in Italia nel quadrimestre ottobre 2018 – gennaio 2019, stilata dalla rivista letteraria on line L’indiscreto. Ecco, la qualità».