Atleta, marinaio, narratore e poeta britannico, uno degli autori preferiti da Howard Phillips Lovecraft, William Hope Hodgson (1877 – 1918) ha contribuito alla creazione dei canoni dell’horror novecentesco con le sue storie d’avventura, orrore e mistero. Il Palindromo propone per la prima volta ai lettori italiani “Il sogno di X“: un nuovo tassello della collana I tre sedili deserti, a cura di Pietro Guarriello, che intende riportare l’attenzione su romanzi, racconti, saggi e documenti che hanno contribuito alla costruzione del genere fantastico. L’uscita in libreria è prevista per giovedì 25 luglio, di seguito un estratto del libro. La copertina è di Simone Geraci.
I FRAMMENTI RITROVATI DE
IL SOGNO DI X
William Hope Hodgson
Da quando Mirdath, la mia Bella, è morta, lasciandomi solo in questo mondo, ho visitato nei miei sogni quei luoghi siti nel grembo del Futuro, nei quali io e lei ci riuniremo, e ci separeremo, e ci riuniremo di nuovo… prima divisi nel dolore più cupo, poi ancora insieme, dopo secoli ignoti, nel più solenne stupore.
Alcuni lettori diranno che è pura invenzione, e altri per questo li contesteranno; a entrambi dico soltanto: «Leggete!». Solo allora ciascuno potrà dire di aver guardato con me attraverso i portali dell’Eternità.
Ed eccovi, dunque, la mia storia.
Nell’ultimo periodo, le mie visioni non somigliavano più a sogni; per così dire, era come se mi risvegliassi nel tenebroso Futuro di questo mondo. Il sole si era spento e, per me, appena arrivato in quell’Epoca, ripensare al nostro Presente era come ricordare dei sogni… sogni che la mia anima riteneva reali. Ai miei occhi, invece, giunti a una nuova percezione, essi apparivano come una lontana chimera, stranamente consacrata alla pace e alla luce.
Ogniqualvolta mi svegliavo nel Futuro – nell’Eterna Notte che lo lambiva –, mi sembrava di scorgere attorno a me un grigiore sfocato. Presto si dissolveva, diradandosi come una nube fosca: potevo così mirare un mondo ammantato da una densa oscurità, rischiarata di tanto in tanto da qualche strano fenomeno. Il mio risveglio non avveniva nell’inconsapevolezza, ma nella piena comprensione delle entità che brillavano nella Terra della Notte; una comprensione pari a quella di un uomo che, destandosi ogni mattina, è subito consapevole dei nomi delle cose e della cultura della propria Era, avendo cognizione del Tempo in cui è nato e vive. Ciononostante, a livello subconscio, conservavo la consapevolezza del nostro Presente – di questa vita originaria, che ora conduco in completa solitudine.
Durante le mie prime visite in quei luoghi, ero un ragazzo. Ricordo che quando all’inizio mi svegliai lì – o vi rinvenni, come preferite –, ero appostato presso una delle feritoie dell’Ultima Ridotta, l’enorme Piramide di metallo grigio in cui gli ultimi milioni di abitanti del mondo avevano trovato riparo dai Poteri degli Assassini. Tanto è radicata in me la conoscenza di questa costruzione, che fatico a credere che da noi nessuno la conosca; una condizione del genere può far sì che io parli con eccessiva familiarità di cose note soltanto a me, portandomi a tralasciare elementi necessari ai lettori del nostro Presente.
Lì, mentre stavo a osservare, non ero l’anziano uomo di quest’Epoca, ma un giovane che custodiva in sé la naturale conoscenza di quella vita accumulata nei suoi diciassette anni d’età. Fino alla prima visione, nulla sapevo di quell’esistenza altra nel Futuro, eppure, quando mi risvegliai in essa, lo feci normalmente, con la stessa naturalezza di un individuo che si desta nel proprio letto al baluginare del primo sole, e di quel sole conosca il nome e il signifcato. Tuttavia, innanzi a quella grande feritoia, serbavo, sepolte nel profondo, memorie della vita nel Presente. Inoltre, anche se un’aura onirica sfumava tali ricordi, rimanevo cosciente del mio desiderio per Lei: era una consapevolezza vaga, ma avevo la certezza che il suo nome fosse Mirdath.
Come ho detto, nel primo ricordo che ho di quei risvegli, mi trovavo presso un’alta feritoia posta su un fanco della Piramide: osservavo l’esterno, verso Nord-Ovest, servendomi di uno strano cannocchiale. Sì, ero nel fore della gioventù, e avevo un cuore ardito, benché vagamente turbato da ignoti timori. Nel mio cervello albergavano le conoscenze acquisite negli anni trascorsi nella Ridotta; eppure, fino a quell’istante, l’Uomo del Presente che sono non aveva cognizione alcuna di quell’esistenza futura. Ero in piedi a osservare l’esterno, quand’ecco che, all’improvviso, seppi di una vita già trascorsa in quella strana terra, mentre serbavo in un angolo remoto della mente memorie sbiadite della nostra Era e, forse, anche di alcune altre.
Il sogno di X
William Hope Hodgson
Questo volume presenta per la prima volta ai lettori italiani il romanzo breve Il sogno di X (1912), arricchito dalle storiche tavole di Stephen E. Fabian, noto illustratore di pulp magazine. A seguire, nella sezione Incubi ritrovati, sono raccolti sei racconti finora mai pubblicati in volume, accompagnati da un importante corredo di apparati critici. Completa il libro la silloge poetica, Il richiamo del mare, anch’essa inedita in Italia, e una nutrita documentazione fotografica. Si tratta di scatti rari che restituiscono momenti della straordinaria vicenda biografica di William Hope Hodgson, uno dei titani della letteratura dell’Immaginario, che H.P. Lovecraft in persona ha definito «lo scrittore sulle cui spalle si è posato il manto di Poe».
Prima edizione italiana a cura di Pietro Guarriello, traduzioni di Giuseppe Aguanno e Maria Ceraso, con una introduzione di Gianfranco de Turris e venti tavole di Stephen E. Fabian.